Si tratta ora di prendere atto dell’escalation in corso con il drammatico appello di papa Francesco nell’Angelus del 2 ottobre e l’invito alla mobilitazione promossa da Rete Pace e Disarmo
L’incontro del 21 settembre era nato dalla necessità di condividere alcune domane che ci portiamo dentro senza avere risposte precostituite ma anche nutrendo un profondo disagio verso la narrazione prevalente intorno alla guerra in Ucraina che non può che peggiorare di giorno in giorno tra l’orrore e il dolore delle vittime innocenti che non possono lasciarci indifferenti.
Alcuni tra di noi sono andati in Ucraina per aiutare i più fragili a scappare e cercare di aprire canali di dialogo con la società civile sostenendo le scelte di obiezione di coscienza da entrambe le parti. Missioni che si stanno ripetendo a intervalli regolari. Il 26 settembre, il giorno dopo le elezioni, è partita poi la carovana promossa da Un Ponte Per.. e Movimento Nonviolento con la partecipazione di don Renato Sacco di pax Christi. Missioni che, ad ogni modo, possono svolgersi all’interno dello spazio controllato dalle forze armate ucraine sostenute dagli Usa e dalla Nato e quindi anche da noi con la fornitura di armi decisa dal nostro governo in conformità alla linea adottata dall’Unione europea.
Ecco la formulazione ragionata delle domande con le risposte registrate sulla pagina FB della pastorale diocesana e disponibili qui come file audio distinti in base all’ordine degli interventi
https://www.spreaker.com/show/domande-su-guerra-e-politica-delle-armi
Domande
L’egemonia culturale sulla guerra e il fattore Draghi
Sento ripetere da più parti che la maggioranza della popolazione sarebbe contraria alla guerra e anche all’invio di armi, ma non credo che questa tesi sia corretta se non come sentimento generico. Era decisamente refrattaria alla guerra la generazione del secolo scorso che comunque obbedì in gran parte al richiamo alle armi nel primo conflitto mondiale decisa da una decisa minoranza di interventisti sostenuta da una propaganda finanziata dall’industria che proprio in quella tragedia fondò la propria egemonia.
Dal giorno dell’invasione dell’Ucraina decisa da Putin il 24 febbraio non c’è stata alcuna reale alternativa alla linea di intervenire con la fornitura di armi collocando l’azione europea in maniera indistinta da quella della Nato.
Anche il 20 settembre all’Istituto Sturzo lo storico Agostino Giovagnoli e altri intervenuti parlavano di maggioranza degli italiani contro la guerra e dei cattolici in particolare che registrano su questo tema la conferma della loro irrilevanza politica.
Personalmente non credo che la maggioranza dell’opinione pubblica sia contro questa scelta politica espressa con grande precisione da Mario Draghi nel discorso alle Camere.
Lo stesso Draghi prima dell’invasione russa aveva evidenziato la necessità del riarmo dell’Italia e da decenni la politica industriale di grandi società come Leonardo e Fincantieri dimostrano questo orientamento condiviso trasversalmente che pone il nostro Paese tra i primi 10 fornitori di armi alla ricerca dei mercati più promettenti, superando le obiezioni morali sul presupposto che la presenza in questo settore giova al prestigio del nostro Paese e che comunque la nostra assenza andrebbe ad avvantaggiare altri stati nostri concorrenti. Si può decidere di spendere soldi per ospedali o asili invece che in armi ma come dice Federico Rampini non possono esistere potenze erbivore..
La tesi “repubblicana” espressa con rigore e precisione da Draghi coincide con quanto sostenuto da tempo da molti esponenti del cattolicesimo politico presenti nei diversi governi.
La forza del concetto di guerra giusta
Il permanere del concetto di guerra giusta e la definizione della legittima difesa nel catechismo della chiesa cattolica sono il suggello anche formale di questa posizione ribadita da più fonti, dai teologi e filosofi fino al segretario di Stato vaticano. La nostra storia nazionale recente è stata fondata poi sulla resistenza al nazifascismo, una lotta non solo armata ma sostenuta dalle armi degli alleati.
Le affermazioni che rimandano alla guerra giusta riprendono anche le condizioni che legittimano il ricorso alle armi. Lo ha ribadito il papa nella conversazione informale con i giornalisti nel viaggio di ritorno dal Kazakistan.
La mancanza o ambiguità delle condizioni richieste per la guerra di difesa dovrebbe aprire però la questione della conseguente scelta obbligata dell’obiezione di coscienza. Cosa è avvenuto invece nel 2003 davanti all’evidente menzogna che ha giustificato la guerra in Iraq?
Ci troviamo ora davanti alla prossima elezione di un parlamento dove esisterà una schiacciante posizione favorevole all’intervento militare secondo il concetto strategico della Nato approvato a fine giugno a Madrid. L’aggravamento della guerra in Ucraina apre scenari inquietanti fino all’opzione nucleare minacciata da Putin e evocata anche in Occidente come dimostrano le dichiarazione della giovane premier britannica Liz Truss.
Secondo Marco Tarquinio, intervenuto all’incontro dell’istituto Sturzo, solo un politico come Aldo Moro, tra gli artefici degli accordi di Helsinki del 1795, sarebbe stato in grado di dare un ruolo all’Italia diverso da quello schiacciato sulla linea atlantista dello scontro aperto alla soluzione finale della storia.
Ma sappiamo quale è stato il prezzo pagato da quello statista democristiano.
Oggi noi non possiamo nasconderci con rimandi al passato o limitarci a riprendere le parole nette e profetiche di papa Francesco che sono ignorate quando denunciano le industrie delle armi ma vengono riprese, tagliandole a proprio piacimento quando si prestano a giustificare la guerra legittimando ancora una volta la benedizione delle armi da una parte all’altra del fronte come già sta avvenendo ancora una volta nel cuore dell’Europa
Le domande aperte vuol dire che non restano custodite nel prudente silenzio in attesa di improbabili tempi migliori e si aprono a risposte che possono non coincidere anche tra persone che condividono l’impegno per la pace.
Il rischio reale è che tutto quanto emerso in questi anni, la lotta contro l’invio delle armi ai regimi oppressivi impegnati in guerre definite dall’Onu un disastro umanitario, il sostegno ai portuali che rifiutano di caricare mezzi destinati a questi massacri, ecc., venga travolto dal realismo politico che impone di allinearci ad una prevalente politica di riarmo senza se e senza ma.
Dottrina nucleare della Nato e tentativi di risveglio
In maniera inaspettata abbiamo promosso l’adesione di oltre 40 associazioni cattoliche all’appello per proibire le armi nucleari come chiede senza sosta il papa che denuncia assieme a pochi altri la prossimità senza precedenti all’apocalisse atomica.
Quell’appello ha rappresentato una prima incrinatura alla dottrina nucleare seguita fedelmente dai nostri governi che accettano e sono favorevoli alla presenza delle bombe nucleari sul nostro territorio. Una consapevolezza destinata di nuovo ad inabissarsi nel tempo della guerra che fa della deterrenza nucleare la fonte della propria salvezza.
È possibile chiedere e far crescere una posizione dell’Europa distinta da quella della Nato, con una propria politica estera che incide sulla difesa comune e quindi sulle politiche industriali?
Piuttosto che invocare l’uscita dalla Nato o un improbabile neutralismo attivo dell’Italia come proposto dalla manifestazione del 5 marzo, non ha più senso chiedere di assumere una diversa posizione dei Paesi fondatori la Ue all’interno dell’Alleanza atlantica? Oppure dobbiamo rassegnarci al fatto che non c’è nessuna alternativa?
Pace ingiusta?
Mi colpisce molto infine quello che dice Giulio Marcon a proposito del fatto che non è possibile chiedere, come facciamo tutti, una pace giusta. I negoziati e gli accordi di tregua di solito non definiscono una pace giusta ma almeno fermano il massacro. Alcuni possono dire che è una riedizione della formula “meglio rossi che morti”, ma quale è l’alternativa? Se si accetta, invece, il termine di paragone della situazione attuale con lo scontro contro il nazifascismo non c’è altra soluzione che la guerra fino alla vittoria finale con l’uso di tutti i mezzi possibili.
Come valutare in questo senso la piattaforma avanzata proprio il 21 settembre su Avvenire da Stefano Zamagni? È solo esercizio retorico? Oppure è impossibile per mancanza di soggetto politico credibile?
Si ripropongono, quindi davanti a noi, le domande rivolte da alcuni ragazzi negli anni 50 al periodico Adesso e che sono all’inizio del testo di don Primo Mazzolari “Tu non uccidere”
«Caro “Adesso”,
siamo un gruppo di giovani né fascisti, né comunisti, né democristiani, ma cristiani, democratici, italiani. Ogni giorno, a ritmo incalzante, sentiamo parlare di riarmi, di stanziamenti favolosi e urgenti per produzioni belliche, di guerra imminente, di difesa nazionale e di blocchi contrapposti.
Chiediamo:
In caso di guerra, dobbiamo impugnare le armi?
In caso affermativo, come italiani, con chi e contro chi?
In caso di occupazione americana (vedi Patto atlantico) o russa, il nostro atteggiamento dovrà essere di collaborazione, di neutralità o di ostilità?
Desideriamo una risposta precisa di “Adesso” per ciascuno degli interrogativi.
Ringraziamo per l’ospitalità e salutiamo cordialmente».