sabato 24 settembre 2022

Domande sulla guerra e la politica delle armi in cerca di risposte credibili

 


 Il 21 settembre, alla vigilia delle elezioni politiche abbiamo promosso un momento di riflessione come gruppo di lavoro Economia disarmata del Movimento dei Focolari Italia assieme alla pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Roma.

Si tratta ora di prendere atto dell’escalation in corso con il drammatico appello di papa Francesco nell’Angelus del 2 ottobre e l’invito alla mobilitazione promossa da Rete Pace e Disarmo 


 

L’incontro del 21 settembre era nato dalla necessità di condividere alcune domane che ci portiamo dentro senza avere risposte precostituite ma anche nutrendo un profondo disagio verso la narrazione prevalente intorno alla guerra in Ucraina che non può che peggiorare di giorno in giorno tra l’orrore e il dolore delle vittime innocenti che non possono lasciarci indifferenti.

Alcuni tra di noi sono andati in Ucraina per aiutare i più fragili a scappare e cercare di aprire canali di dialogo con la società civile sostenendo le scelte di obiezione di coscienza da entrambe le parti. Missioni che si stanno ripetendo a intervalli regolari. Il 26 settembre, il giorno dopo le elezioni, è partita poi la carovana promossa da Un Ponte Per.. e Movimento Nonviolento con la partecipazione di don Renato Sacco di pax Christi. Missioni che, ad ogni modo, possono svolgersi all’interno dello spazio controllato dalle forze armate ucraine sostenute dagli Usa e dalla Nato e quindi anche da noi con la fornitura di armi decisa dal nostro governo in conformità alla linea adottata dall’Unione europea.

Ecco la formulazione ragionata delle domande con le risposte registrate sulla pagina FB della pastorale diocesana e disponibili qui come file audio distinti in base all’ordine degli interventi

https://www.spreaker.com/show/domande-su-guerra-e-politica-delle-armi

 

Domande

 

L’egemonia culturale sulla guerra e il fattore Draghi

Sento ripetere da più parti che la maggioranza della popolazione sarebbe contraria alla guerra e anche all’invio di armi, ma non credo che questa tesi sia corretta se non come sentimento generico. Era decisamente refrattaria alla guerra la generazione del secolo scorso che comunque obbedì in gran parte al richiamo alle armi nel primo conflitto mondiale decisa da una decisa minoranza di interventisti sostenuta da una propaganda finanziata dall’industria che proprio in quella tragedia fondò la propria egemonia.

Dal giorno dell’invasione dell’Ucraina decisa da Putin il 24 febbraio non c’è stata alcuna reale alternativa alla linea di intervenire con la fornitura di armi collocando l’azione europea in maniera indistinta da quella della Nato.

Anche il 20 settembre all’Istituto Sturzo lo storico Agostino Giovagnoli e altri intervenuti parlavano di maggioranza degli italiani contro la guerra e dei cattolici in particolare che registrano su questo tema la conferma della loro irrilevanza politica. 

Personalmente non credo che la maggioranza dell’opinione pubblica sia contro questa scelta politica espressa con grande precisione da Mario Draghi nel discorso alle Camere.

Lo stesso Draghi prima dell’invasione russa aveva evidenziato la necessità del riarmo dell’Italia e da decenni la politica industriale di grandi società come Leonardo e Fincantieri dimostrano questo orientamento condiviso trasversalmente che pone il nostro Paese tra i primi 10 fornitori di armi alla ricerca dei mercati più promettenti, superando le obiezioni morali sul presupposto che la presenza in questo settore giova al prestigio del nostro Paese e che comunque la nostra assenza andrebbe ad avvantaggiare altri stati nostri concorrenti. Si può decidere di spendere soldi per ospedali o asili invece che in armi ma come dice Federico Rampini non possono esistere potenze erbivore..

La tesi “repubblicana” espressa con rigore e precisione da Draghi coincide con quanto sostenuto da tempo da molti esponenti del cattolicesimo politico presenti nei diversi governi.

La forza del concetto di guerra giusta

Il permanere del concetto di guerra giusta e la definizione della legittima difesa nel catechismo della chiesa cattolica sono il suggello anche formale di questa posizione ribadita da più fonti, dai teologi e filosofi fino al segretario di Stato vaticano. La nostra storia nazionale recente è stata fondata poi sulla resistenza al nazifascismo, una lotta non solo armata ma sostenuta dalle armi degli alleati.

Le affermazioni che rimandano alla guerra giusta riprendono anche le condizioni che legittimano il ricorso alle armi. Lo ha ribadito il papa nella conversazione informale con i giornalisti nel viaggio di ritorno dal Kazakistan.

La mancanza o ambiguità delle condizioni richieste per la guerra di difesa dovrebbe aprire però la questione della conseguente scelta obbligata dell’obiezione di coscienza. Cosa è avvenuto invece nel 2003 davanti all’evidente menzogna che ha giustificato la guerra in Iraq?

Ci troviamo ora davanti alla prossima elezione di un parlamento dove esisterà una schiacciante posizione favorevole all’intervento militare secondo il concetto strategico della Nato approvato a fine giugno a Madrid. L’aggravamento della guerra in Ucraina apre scenari inquietanti fino all’opzione nucleare minacciata da Putin e evocata anche in Occidente come dimostrano le dichiarazione della giovane premier britannica Liz Truss.

Secondo Marco Tarquinio, intervenuto all’incontro dell’istituto Sturzo, solo un politico come Aldo Moro, tra gli artefici degli accordi di Helsinki del 1795, sarebbe stato in grado di dare un ruolo all’Italia diverso da quello schiacciato sulla linea atlantista dello scontro aperto alla soluzione finale della storia.

Ma sappiamo quale è stato il prezzo pagato da quello statista democristiano.

Oggi noi non possiamo nasconderci con rimandi al passato o limitarci a riprendere le parole nette e profetiche di papa Francesco che sono ignorate quando denunciano le industrie delle armi ma vengono riprese, tagliandole a proprio piacimento quando si prestano a giustificare la guerra legittimando ancora una volta la benedizione delle armi da una parte all’altra del fronte come già sta avvenendo ancora una volta nel cuore dell’Europa

Le domande aperte vuol dire che non restano custodite nel prudente silenzio in attesa di improbabili tempi migliori e si aprono a risposte che possono non coincidere anche tra persone che condividono l’impegno per la pace.

Il rischio reale è che tutto quanto emerso in questi anni, la lotta contro l’invio delle armi ai regimi oppressivi impegnati in guerre definite dall’Onu un disastro umanitario, il sostegno ai portuali che rifiutano di caricare mezzi destinati a questi massacri, ecc., venga travolto dal realismo politico che impone di allinearci ad una prevalente politica di riarmo senza se e senza ma.

Dottrina nucleare della Nato e tentativi di risveglio  

In maniera inaspettata abbiamo promosso l’adesione di oltre 40 associazioni cattoliche all’appello per proibire le armi nucleari come chiede senza sosta il papa che denuncia assieme a pochi altri la prossimità senza precedenti all’apocalisse atomica.

Quell’appello ha rappresentato una prima incrinatura alla dottrina nucleare seguita fedelmente dai nostri governi che accettano e sono favorevoli alla presenza delle bombe nucleari sul nostro territorio. Una consapevolezza destinata di nuovo ad inabissarsi nel tempo della guerra che fa della deterrenza nucleare la fonte della propria salvezza.

È possibile chiedere e far crescere una posizione dell’Europa distinta da quella della Nato, con una propria politica estera che incide sulla difesa comune e quindi sulle politiche industriali?

Piuttosto che invocare l’uscita dalla Nato o un improbabile neutralismo attivo dell’Italia come proposto dalla manifestazione del 5 marzo, non ha più senso chiedere di assumere una diversa posizione dei Paesi fondatori la Ue all’interno dell’Alleanza atlantica? Oppure dobbiamo rassegnarci al fatto che non c’è nessuna alternativa?

Pace ingiusta?

Mi colpisce molto infine quello che dice Giulio Marcon a proposito del fatto che non è possibile chiedere, come facciamo tutti, una pace giusta. I negoziati e gli accordi di tregua di solito non definiscono una pace giusta ma almeno fermano il massacro. Alcuni possono dire che è una riedizione della formula “meglio rossi che morti”, ma quale è l’alternativa? Se si accetta, invece, il termine di paragone della situazione attuale con lo scontro contro il nazifascismo non c’è altra soluzione che la guerra fino alla vittoria finale con l’uso di tutti i mezzi possibili.

Come valutare in questo senso la piattaforma avanzata proprio il 21 settembre su Avvenire da Stefano Zamagni? È solo esercizio retorico? Oppure è impossibile per mancanza di soggetto politico credibile? 

Si ripropongono, quindi davanti a noi,  le domande rivolte da alcuni ragazzi negli anni 50 al periodico Adesso e che sono all’inizio del testo di don Primo Mazzolari “Tu non uccidere”

«Caro “Adesso”,

 

siamo un gruppo di giovani né fascisti, né comunisti, né democristiani, ma cristiani, democratici, italiani. Ogni giorno, a ritmo incalzante, sentiamo parlare di riarmi, di stanziamenti favolosi e urgenti per produzioni belliche, di guerra imminente, di difesa nazionale e di blocchi contrapposti.

 

Chiediamo:

 

    In caso di guerra, dobbiamo impugnare le armi?

    In caso affermativo, come italiani, con chi e contro chi?

    In caso di occupazione americana (vedi Patto atlantico) o russa, il nostro atteggiamento dovrà essere di collaborazione, di neutralità o di ostilità?

    Desideriamo una risposta precisa di “Adesso” per ciascuno degli interrogativi.

 

Ringraziamo per l’ospitalità e salutiamo cordialmente».

  

sabato 3 aprile 2021

I lavoratori hanno detto no. Sono stati bravi

 «In un porto è arrivata da un Paese una nave piena di armi che doveva consegnare a una nave più grande diretta nello Yemen. 

Noi sappiamo cosa succede nello Yemen. 

E i lavoratori del porto hanno detto “no”. 

Sono stati bravi! E la nave è tornata a casa sua. 

È un caso che ci insegna come ci si deve comportare su questo. La pace oggi è molto debole, molto debole, ma non bisogna scoraggiarsi. E con le armi favoriamo questa debolezza». Papa Francesco 26 novembre 2019


giovedì 29 ottobre 2020

Ma cosa vuol dire "economia disarmata"?

 da leggere con attenzione

Per una Economia Disarmata.

L’impegno del Movimento dei Focolari Italia

 


 

L’Assemblea generale del Movimento dei Focolari Opera di Maria riunitasi nel settembre 2014 ha votato all’unanimità una mozione a favore dell’impegno del dialogo a tutto campo con «azioni dirette a sostegno di iniziative di pace perché cessino tutte le guerre. Aderisce a quelle iniziative che contrastano la corsa agli armamenti nello spirito del cammino intrapreso con decisione da Papa Francesco».

L’impegno per la pace è coessenziale al carisma dell’unità del Movimento nato storicamente con Chiara Lubich, sotto il bombardamento della città di Trento, e che ha come cofondatore Igino Giordani, che si definiva “deputato di pace” e perciò segno di contraddizione. Un tratto mantenuto ben saldo nel servizio svolto da Città Nuova con riferimento ai ricorrenti scenari di guerra.

Durante la prima assemblea generale del Movimento dei Focolari in Italia, tenutasi a Castel Gandolfo dal 23 al 25 ottobre 2015, si è costituito, così, un gruppo di lavoro per dare attuazione alla direttiva condivisa per un impegno a favore della pace a partire dalle scelte culturali di fondo e quindi nel campo della finanza e dell’industria del nostro Paese.

Il gruppo, che si è autodefinito, perciò, con il nome di “Economia Disarmata” è aperto a tutti coloro che, nel Movimento o ad esso vicini, maturano tale seria scelta di impegno

Economia Disarmata

  • Esercita un’attività di riflessione a servizio di azioni coerenti e consapevoli
  • Promuove direttamente e sostiene le attività di formazione e di impegno che si intende intraprendere in tal senso in Italia
  • Esprime posizioni nel dibattitto pubblico in concorso e condivisione con i responsabili nazionali del Movimento dei Focolari.

Tra i primi gesti compiuti in questa direzione si registra l’apertura e il trasferimento di un numero consistente di conti bancari, intestati da diverse realtà riconducibili al Movimento, presso istituti non coinvolti nel sostegno alla produzione e commercio di armi.

La proposta pubblica di tale scelta, intesa a disarmare la finanza a cominciare dai propri beni, rientra tra le attività promosse come consumo critico, consapevolezza culturale e leva politica di cambiamento delle strutture. 

I responsabili del Movimento dei Focolari in Italia hanno precisato le direttive di tale impegno all’interno del dialogo avviato con alcuni parlamentari e pezzi della società civile intorno ad iniziativa sulla pace promossa il 16 marzo 2016, memoria di Chiara Lubichpresso la Camera dei deputati dai Giovani per un mondo unito e dalle scuole di partecipazione del Movimento politico per l’unità.

Queste le domande aperte come traccia di un lavoro aperto su diversi fronti.

1.     Come mai micidiali bombe (prodotte per conto di un’impresa tedesca, ndr) partono periodicamente dal nostro territorio (Sardegna) per essere esportate in Arabia Saudita, Paese coinvolto nella guerra dimenticata nello Yemen, in violazione della legge 185/90 che vieta l’invio di armi verso le zone di conflitto e/o dove non si rispettano i diritti umani?

2.      Come mai Finmeccanica Leonardo (30% del capitale controllato dal ministero dell’Economia e finanza) sta cedendo progressivamente il settore civile per investire nel comparto delle armi seguendo “l’utopia” di una politica industriale degli armamenti che offre meno posti di lavoro di altri comparti tecnologici, promuove di fatto i conflitti armati diffusi a livello planetario e ha una scarsa ricaduta economica sul territorio? Perché non si destinano fondi pubblici alla riconversione dell’industria bellica come previsto nella legge 185/90?

3.     Come mai l’Italia ospita sul suo territorio, nelle basi militari di Aviano e Ghedi, decine di bombe nucleari quando può legittimamente chiedere agli Stati Uniti di riprendersi questi strumenti di morte come hanno fatto altre nazioni che appartengono all’Alleanza atlantica?

Proprio in Sardegna con epicentro nel territorio del Sulcis Iglesiente, luogo di produzione delle bombe destinate al conflitto in Yemen, a partire dal maggio 2017 il Movimento ha promosso una marcia della pace condivisa da diverse realtà già a lungo presenti e attive nel ripudio della guerra. Da quel gesto pubblico è nato un comitato con diverse e variegate presenze che promuove una seria economia di pace e riconversione intesa a liberare il lavoro e la vita delle persone dal ricatto della produzione bellica.

Un caso di coscienza

La ragionevole proposta che si oppone alla filiera internazionale delle armi, e quindi all’ “economia che uccide” ( Evangelii Gaudium ) in tanti altri modi, è un caso di coscienza mondiale dal valore universale.

A livello italiano pone in evidenza il sistema delle scelte di politica internazionale, economica e industriale che hanno legittimato finora uno stato di fatto contrario alla Costituzione oltre che alle elementari regole della convivenza umana.

 Per tale ragione come realtà ecclesiale radicata sul territorio, i responsabili del MdF Italia hanno esplicitamente proposto al comitato scientifico delle Settimane sociali dei cattolici italiani di affrontare la questione emblematica della produzione bellica nel Sulcis durante i lavori di fine ottobre 2017 previsti a Cagliari. Il tema, poi, non è stato affrontato nel programma generale ma discusso in alcuni tavoli di confronto, tanto da generare una mozione avanzata in maniera spontanea da un gruppo di delegati, tra i quali il vescovo presidente di Pax Christi. 

Il 27 dicembre 2018 i vescovi sardi hanno emesso una nota congiunta per dire no alla produzione di armi in Sardegna: «La gravissima situazione economico-sociale non può legittimare qualsiasi attività economica e produttiva, senza che se ne valuti responsabilmente la sostenibilità, la dignità e il rispetto dei diritti di ogni persona. In particolare non si può omologare la produzione di beni necessari per la vita con quella che sicuramente genera morte. Tale è il caso delle armi costruite nel nostro territorio regionale e usate per una guerra, che ha causato e continua a generare nello Yemen migliaia di morti, per la maggior parte civili inermi. Un business tragico che sembra non avere nessun colpevole, poiché i vari Paesi interessati si scaricano a vicenda le responsabilità».

È chiaro che il vero nodo strategico resta la proposta della riconversione economica e produttiva. Perciò l’impegno a fermare le bombe e riconvertire l’economia è al centro delle iniziative del Movimento in ogni sede. Dalla promozione, con tante altre associazioni enti e movimenti, di mozioni parlamentari nei confronti dei governi di diverso colore che si sono succeduti in Italia dal 2016 ad oggi.

Nel segno della profezia di Giorgio La Pira sul senso ultimo delle città, ("Il valore delle città", Ginevra 1954 Convegno della Croce Rossa Internazionale) si colloca il sostegno dell’azione promossa dal comune di Assisi per un coinvolgimento, tramite mozione in consiglio comunale, nella discussione pubblica della cittadinanza che non può restare indifferente alla logica della guerra, tuttora banalmente giustificata in diverse sedi.  Esempio seguito da diverse città piccole e grandi, tra le quali Roma, Firenze, Bologna, Verona, Reggio Calabria.

La conversione integrale

Alla fine la Camera dei deputati ha approvato, nel giugno 2019, la risoluzione che prevede il blocco dall’Italia delle esportazioni di bombe e missili verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi uniti, cioè ai due Paesi coinvolti nel tragico conflitto in Yemen.

E tuttavia la mozione approvata ha rimosso ogni riferimento, previsto in una prima versione, al sostegno di «alternative lavorative per il Sulcis-Iglesiente e tutte le aree italiane soggette al “ricatto” occupazionale del settore degli armamenti in particolare rifinanziando il Fondo per la Riconversione previsto dalla legge 185/90 ed attivando piani e programmi occupazionali fondati sullo sviluppo sostenibile (Agenda 2030)». Su questo punto, assieme ad altri rilievi puntuali, resta tuttora senza risposta l’istanza di confronto richiesta il 7 ottobre al Ministro degli esteri dal MdF assieme a Amnesty International Italia - Comitato Riconversione RWM - Fondazione Finanza Etica - Oxfam Italia - Rete Italiana per il Disarmo - Rete della Pace - Save the Children Italia.

Il 14 ottobre i rappresentanti del MdF Italia, ( assieme a Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Fondazione Finanza Etica, Un Ponte per…. , Cgil, Movimento Nonviolento, Centro La Pira) ha inviato una lettera direttamente al presidente della Repubblica Federale di Germania, nazione dove ha sede la società controllante l’azienda italiana di produzione di bombe, invitandolo ad un confronto per trovare il modo di uscire da una contraddizione «che mina alle fondamenta l’ideale di un’Europa capace di essere promotrice di pace nella giustizia. A livello internazionale e dentro le mura del Vecchio continente. Tante sono le risorse che possono trarci fuori da questa logica del ricatto che ci umilia come esseri umani che si indignano per le stragi orrende di un recente passato e rimuovono lo sguardo dalle tragedie dei nostri giorni dove si bombardano impunemente anche scuole e ospedali». L’ambasciata tedesca in Italia ha promesso di ricevere i firmatari di tale missiva di pace.

L’azione portata avanti dal MdF Italia si nutre di un costante lavoro di aggiornamento e approfondimento con diversi esponenti della società civile, anche con seminari di studio residenziali ospitati, durante l’estate, dal monastero di Camaldoli in Toscana. La tre giorni promossa nel luglio 2019 si è incentrata sul tema “Alle radici dell’impegno. Rivolta della coscienza e dilemma della nonviolenza” con l’intenzione di evidenziare il legame tra l’impegno per la pace e la conversione integrale indicata da papa Francesco nella Laudato Sì. Un capovolgimento di visione del mondo capace di incidere sulle scelte strutturali in campo economico e politico.

Su questa linea si pone il contributo che si vuole offrire al grande evento previsto ad Assisi a fine marzo su Economy of Francesco, nella convinzione che «non si può affrontare la economia di Francesco senza confrontarsi sul potere assoluto e nichilista che fomenta la guerra».

Seguendo la logica del dialogo sul merito delle questione, grazie al Movimento politico per l’Unità, è stato promosso il 13 novembre presso il Parlamento il seminario su “Realismo politico e scelte di pace. Un confronto sull'industria della difesa. Le scelte europee e quelle dell’Italia” con l’intervento di Raul Caruso, economista dell’Università Cattolica di Milano, Vincenzo Camporini, generale già Capo di Stato Maggiore della Difesa e vice presidente dell’Istituto Affari internazionali, e Maurizio Simoncelli, esperto d geopolitica dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo.

Per la terza volta consecutiva, infine, la questione della produzione bellica del Sulcis Iglesiente, come caso universale di lettura del nostro tempo, è stata al centro della Marcia della pace di fine anno promossa, nel 2019, dalla Chiesa italiana a Cagliari.

Un fine 2019 e inizio 2020 che ci ha messo davanti a inquietanti scenari mondiali di guerra con la reazione a catena prevedibile nello scontro tra Usa e Iran. Un tempo che non ci può trovare indifferenti e impreparati a discernere la voce della coscienza che interpella ogni essere umano.

La fraternità reale e sperimentata verso tutti resta alla radice del pensiero che nutre l’impegno e l’azione.

Come continua a dirci Igino Giordani «Non basta il riarmo e neanche il disarmo per rimuovere il pericolo della guerra: occorre rimuovere lo spirito di aggressione, sfruttamento ed egemonia dal quale la guerra viene. Occorre ricostruire la coscienza».  

 

mercoledì 28 ottobre 2020

 

L'età di Clausewitz è finita

 

 


 

L'ultima lettera di invito del 3 ottobre, relativamente a questa sessione polacca dell'Unesco si chiude significativamente indicando come fine ultimo della storia intera del mondo e come termine ultimo del suo cammino (teleologia della storia!) il "sogno secolare" di milioni di uomini semplici e di filosofi, il "sogno" della pace universale!

Ma come realizzarlo? Riflettendo su questo problema fondamentale della storia presente del mondo -anzi, continuando la riflessione che da un ventennio, anche operativamente, ci impegna ogni giorno, in certo senso, a Firenze- tre fondamentali questioni sono riemerse con maggiore chiarezza e con maggiore urgenza ed attualità nella mia mente:

 

1) La prima concerne l'insuperabile ed urgente necessità di "fare il punto" della navigazione storica: cioè, in quale punto si trova, nell'oceano della storia, in questa età nucleare e spaziale, la nave in cui è solidalmente ed irrimediabilmente imbarcato l'intero genere umano?

L'indicazione esatta di questo punto è di importanza immensa, perché essa -per via delle decisioni politiche, militari, economiche, culturali, sociologiche, spirituali ecc. che essa condiziona e suscita- è determinante per il corso intero della storia presente e futura del mondo!

L'indicazione esatta di questo punto costituisce come la bussola, come la stella polare, come il punto omega orientatori dell'intera navigazione storica!

"Dove si trova" perciò la storia del mondo? E verso quale porto, perciò, deve essere orientata -se non vuole affondare e se la storia perciò non vuole fare tragico fallimento!- la prua della nave del mondo?

 

2) Eccoci, così, alla seconda fondamentale questione -organicamente connessa alla prima- della storia presente e futura del mondo: la storia (cioè nel suo inscindibile insieme, nella sua infrangibile unità e solidarietà dei movimenti che la costituiscono) ha un fine? C'è una orientazione di fondo, un punto omega che finalizza irreversibilmente la storia del mondo?

C'è, cioè, una "teleologia della storia"? C'è perciò una "storiografia del profondo" che bisogna conoscere -analogamente alla "psicologia del profondo"- per conoscere davvero la storia e per orientarne efficacemente il corso ed il cammino?

La fondamentale attualità ed urgenza di questa questione appare ogni giorno più evidente. Essa è connessa con la necessità sempre più crescente ed urgente di costruire un mondo nuovo, una storia nuova, un "nuovo integrale ordine di secoli".

Magnus ab integro saeculorum nascitur ordo, come "profeticamente" dice Virgilio considerando -nel quadro del "destino di Roma"- il corso augusteo della storia e l'Ara Pacis e le Res Gestae di Augusto (unitive del mondo) che lo definiscono!

In questa età nucleare e spaziale, il disarmo del mondo -con l'unità, a tutti i livelli, il negoziato e la pace e la giustizia del mondo- sono o no il senso stesso, profondo, sempre più inevitabile della storia?

 

3) Ed eccoci così alla terza fondamentale questione. La Conferenza di Helsinki rappresenta o no il modello sul quale si andrà sempre più inevitabilmente costruendo la struttura nuova, unitaria (disarmata, pacificata, libera, "giusta"!) del mondo?

Totus mundus est quasi una res publica diceva Francisco de Victoria, fondando il Diritto Internazionale dopo la scoperta dell' America. E già Dante, nel De Monarchia, aveva fatto dell'unità del mondo il fine irreversibile ed irrecusabile della storia del mondo.

Orbene, la Conferenza di Helsinki con la struttura unitaria dell'Europa che essa, nonostante tutto, ha creato, è o no l'inizio ed il modello della storia nuova del mondo?

La premessa maggiore del sillogismo politico -che reggeva la storia e la politica per eliminare i conflitti fra Stati mediante il ricorso alla guerra- è ormai crollata ed è crollato, perciò, il "sillogismo" che su di essa si fondava

La polemologia di Clausevitz è finita! Da ciò l'inevitabilità del disarmo e, perciò, del mutamento delle armi in piani economici (armi mutate in aratri, come dice Isaia!). Perciò, l'inevitabilità, ormai, dell'unità a tutti i livelli, degli Stati, delle nazioni e dei popoli di tutto il mondo!

La storia, entrando nell'età nucleare, ha mutato qualitativamente e sostanzialmente il suo volto

Ma se è vero, come è "scientificamente" vero, che con l'ingresso nell'età nucleare il "limite apocalittico" della storia è stato raggiunto, che perciò è inevitabile ormai -se non si vuole la distruzione apocalittica della terra e del cosmo- sradicare la guerra dalla faccia della terra ed attuare, col disarmo, l'unità, la pace e la giustizia fra i popoli di tutta la terra, allora la "lettura profetica" della storia diventa l'unica ermeneutica atta -scientificamente!- ad indicare quale è il fine ed il corso irreversibile della storia del mondo!

L'età nucleare fa inevitabilmente "riemergere" il metro profetico, la ermeneutica profetica, la lettura profetica; la teleologia e teologia profetica, della storia: i grandi profeti di Israele -primo fra tutti Isaia!-

Il Signore giudicherà i popoli e farà da moderatore fra genti numerose. Esse faranno delle loro spade aratri e delle loro lance falci: un popolo non brandirà più la spada contro un altro popolo e non impareranno più l'arte della guerra (Is 2, 3 sgg.).

Nonostante tutto, cioè, la storia svolgerà il suo progetto profetico di salvezza e farà ingresso, proprio in questa età nucleare, nella strada profetica di Isaia. La strada che conduce alla unità del mondo, al disarmo del mondo, alla giustizia, alla libertà ed alla fraternità fra tutti i popoli della terra.

 

Ed è tanto significativo il fatto che questo messaggio di resurrezione e di speranza storica parta da Varsavia, dalla Polonia, cioè dal luogo stesso ove fu piantata nel 1939 la terribile croce della seconda guerra mondiale, del ghetto di Varsavia, dei sei milioni di ebrei bruciati nelle camere di eliminazione di Auschwitz, di tutti i polacchi "eliminati" e da tanti eroi, noti ed ignoti, come fra gli altri il Padre Kolbe!

La guerra mai più, come disse Paolo VI all'ONU il 4 ottobre 1965: si può sintetizzare così questo messaggio di immensa speranza che l'Unesco lancia oggi da Varsavia ai popoli di tutto il mondo!

 

 Varsavia, 20 ottobre 1975