Intervento seminario 3 dicembre 2017 Iglesias
Pace
Lavoro Sviluppo, ri-costruire il presente ri-pensare il futuro
Di Adriana
Cosseddu,
Professore
diritto penale Università di Sassari
Uno sguardo ai Lavori preparatori della Assemblea Costituente ci
consegna un dato estremamente significativo: originariamente nel Progetto della
nostra Costituzione era scritto: «L’Italia RINUNZIA alla guerra...»! Ma si è
ritenuto che ciò non bastasse a sottolineare «lo spirito nuovo che deve animare
la Carta costituzionale nei confronti del mondo internazionale». Si arrivò così a discutere il nuovo testo
proposto nella formulazione: l’Italia Ripudia
per affermare al contempo la condanna
come la rinuncia alla guerra. Così
l’art. 11, nel suo dettato attuale, ha trovato collocazione tra i Principi
fondamentali della nostra Costituzione.
Art. 11 Cost. L’Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e
come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (prima parte)
L’obiettivo espresso in quella sede:
puntare a un ordinamento internazionale che «può e deve andare anche oltre i
confini dell’Europa», guardando per il futuro a una unità più ampia, per la
quale «aprire tutte le vie ad organizzare la pace e la giustizia fra tutti i
popoli»!
È questa la cornice alla Legge n. 185 del 9 luglio 1990 (“Nuove norme
sul controllo dell’esportazione, dell’importazione e transito dei materiali
d’armamento”, quale risultante oggi dalle successive modifiche e integrazioni).
Non c’è il tempo per tante notazioni, mi limito perciò alla più rilevante: art. 1 - “Controllo dello Stato” e divieti di cui ai commi 5 e 6 in ordine all'esportazione, il transito, il
trasferimento di materiali di armamento; gli stessi rispettivamente dispongono:
5. L'esportazione,
il transito, il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione di materiali
di armamento, nonché la cessione delle relative licenze di produzione e la delocalizzazione produttiva, sono
vietati quando sono in contrasto con la Costituzione, con gli impegni
internazionali dell'Italia, con gli accordi concernenti la non proliferazione e
con i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato, della lotta contro il
terrorismo e del mantenimento di buone relazioni con altri Paesi, nonché quando
mancano adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali di
armamento.
6. L'esportazione, il
transito, il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione di materiali di
armamento sono altresì vietati:
a) verso i Paesi in
stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell'articolo 51 della
Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi
internazionali dell'Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei
Ministri, da adottare previo parere delle Camere; b) verso Paesi la cui
politica contrasti con i principi dell'articolo 11 della Costituzione; c) verso
i Paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l'embargo totale o parziale
delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite o dell'Unione europea
(UE) o da parte dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in
Europa (OSCE) ); d) verso i Paesi i cui governi sono
responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di
diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'UE o
del Consiglio d'Europa.
Potremmo aggiungere, in quanto non secondario, il richiamo alla
previsione del 5° comma dell’art. 6 della
medesima legge, che istituisce il Comitato
Interministeriale per gli Scambi di materiali di armamento per la Difesa
(CISD), al quale spetta «la individuazione dei Paesi per i quali debba farsi
luogo ai divieti di cui all’art. 1,
comma 6».
Ma doveroso diventa, in materia, lo sguardo alla cornice
internazionale e il richiamo all’osservanza degli obblighi cui è tenuto il
nostro Paese, già ai sensi dell’art. 117 Cost., per il quale la potestà
legislativa è esercitata dallo Stato nel rispetto «dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali». Basti, in merito a questi ultimi,
citare il Trattato sul commercio
internazionale di armi convenzionali (Arms Trade Treaty - ATT), adottato dall’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite, New York, 2 aprile 2013 ed entrato in vigore il
24.12.2014. L’Italia ne ha autorizzato la ratifica ed esecuzione con L. 4
ottobre 2013 n. 118.
Particolarmente significativi gli articoli 6 e 7: il primo, in quanto non
consente l’autorizzazione al trasferimento di armi convenzionali qualora lo
Stato Parte sia a conoscenza, al momento dell’autorizzazione, che le stesse
possano essere utilizzate per la commissione, fra l’altro, di crimini contro
l’umanità, gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949, attacchi
diretti a obiettivi o soggetti civili, come tali protetti. Il secondo, art. 7,
comma 7 - quasi in una logica conseguente - prevede che se lo Stato Parte
esportatore, anche dopo la concessione dell’autorizzazione, venga
a conoscenza di nuove informazioni rilevanti, lo stesso Stato sia
«incoraggiato a riesaminare» l’autorizzazione accordata (cf. Dossier N° 5 - 23 Aprile 2013 - Servizio Studi - Dipartimento Affari Esteri; ma anche Servizio Studi - Dipartimento difesa - n°DI0585, Doc. pubblicato il 23.5.
2017).
Ha fatto di recente notizia, forse proprio sulla scia delle
informazioni pervenute circa la grave situazione nello Yemen, la legge
approvata lo scorso ottobre dal Parlamento italiano, contenente «Misure per
contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine anti-persona, di
munizioni e sub munizioni a grappolo». Ma ne conosciamo la vicenda conclusiva:
il Presidente Mattarella non ha promulgato la legge e l’ha rinviata alle
Camere. Perché? È stato eccepito un profilo di illegittimità costituzionale:
l’art. 6, comma 2, del testo normativo, disattendendo talune Convenzioni
internazionali ratificate dall’Italia, ha disposto per violazioni commesse da alcuni soggetti operanti nel settore
finanziario non le sanzioni penali della reclusione e della multa, come
previsto in attuazione di obblighi internazionali, bensì sanzioni pecuniarie.
Infatti, per i soli ruoli apicali e di controllo, vertici degli
istituti bancari, delle società di intermediazione finanziaria e di altri
intermediari abilitati, si è esclusa, in caso di finanziamento per la
produzione delle munizioni, la sanzione penale. Ma solo per questi, e non per i
soggetti privi della qualifica: dunque una disparità di trattamento!
E ciò mentre ai sensi della Convenzione di Oslo, sulla messa al bando
delle munizioni a grappolo, la legge di ratifica del 2011, n. 95 abbia disposto
all’art. 7, per attività di assistenza finanziaria, sanzioni penali. Di più.
Con la stessa legge sono state apportate alla L. 2001/n. 58 modifiche volte
alla «sensibilizzazione contro l’uso delle mine e delle munizioni a grappolo e
in favore dell’adesione alla totale messa al bando delle stesse», nonché in
favore della universalizzazione della Convenzione non solo di Oslo, ma anche di
Ottawa del 1997 (ratificata in Italia con L. 26 marzo 1999 n. 106). È qui che
ci si appella ai “principi di umanità” e si prevede all’art. 9 «l’imposizione
di sanzioni penali, per prevenire e sopprimere ogni attività proibita» ai sensi
della Convenzione.
Emergono le scelte da tempo operate nel nostro Paese. E oggi, al fondo
del rinvio della legge alle Camere, una richiesta di maggior rigore da parte
del Presidente della Repubblica, nel rispetto altresì degli obblighi posti
dall’ art. 117 Cost.: si è sollecitato un nuovo intervento legislativo,
limitato, ma reso necessario per assicurare analoga rilevanza penale alle
attività proibite di assistenza finanziaria da chiunque commesse.
Ha a che fare tutto ciò con il lavoro,
diritto/dovere previsto tra i principi
fondamentali dalla Costituzione?
Non va dimenticato che l’art. 41 Cost., nel garantire la libertà di
iniziativa economica, ne dispone anche i limiti: «non può svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla
libertà e alla dignità umana». E ancor prima l’art. 2 Cost. richiede l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà, così che persona e mercato si ricongiungono in
una visione unitaria.
Eppure oggi sempre più spesso accade di sperimentare una drammatica
alternativa: tra lavoro e salute (v. caso ILVA di Taranto), o lavoro e rispetto
di principi/diritti altrettanto fondanti della convivenza, quali quelli
enunciati nell’art. 11 Cost.
Ma dobbiamo essere consapevoli che per operare la riconversione di una attività produttiva occorre ancor prima
togliere terreno alle armi, posto che la prima cornice di ogni attività
lavorativa è la garanzia di legalità.
Pensiamo che anche nella Dichiarazione
finale di Pittsburgh -2009, gli stessi leader del G-20 hanno evidenziato che la
crisi economica dimostra l’importanza di avviare una nuova era dell’economia
globale fondata sulla responsabilità.
Ma anche la Corte costituzionale italiana ha voluto sottolineare la
specificità della “vocazione sociale dell’uomo” ed il “vincolo di appartenenza
attiva che lega l’individuo alla comunità degli uomini”. E altre voci si levano
a ricordare che gli interessi degli ultimi non possono essere trascurati dal
diritto, un diritto capace di “coniugare solidarietà e giustizia” fino a
“garantire una ‘solidarietà tra estranei’” (Habermas).
La stessa legalità nell’ effetto ultimo di ordinare le relazioni
sociali, comporta che il suo contenuto non si limiti al “non nuocere”, “non
offendere”, “rispettare le norme”, ma arrivi a guardare al bene
dell’altro come al proprio.
Così, Il “villaggio globale” assume più
dimensioni: l’impresa multinazionale, come quella artigiana, cooperativa,
sociale, ma ognuna capace di concorrere al “bene comune”. Se le “utilità” si possono sommare “perché non hanno
volto, non esprimono identità né storia” (Zamagni), nell’obiettivo del bene comune non si può sacrificare il
bene di qualcuno, magari distante e sconosciuto, per migliorare quello di
qualcun altro, perché quel qualcuno è pur sempre una persona umana.
SINTESI NORMATIVA
-
l’art.
11 Cost. proclama il ripudio della guerra
come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie,
anche nei confronti del mondo internazionale;
-
l’art.
1. Controllo dello Stato, legge 9 luglio 1990, n. 185 ne impone
al 1° comma il pieno rispetto anche
in caso di esportazione dei materiali d’armamento; il 5° comma del medesimo articolo dispone il divieto, fra l’altro, di
esportazione e delocalizzazione produttiva «quando sono in
contrasto con la Costituzione, con gli impegni internazionali dell’Italia, […]
nonché quando mancano adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei
materiali di armamento; il 6° comma
dispone il divieto dell’esportazione di materiali di armamento «b) verso Paesi la
cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione […] d) verso i Paesi i cui governi sono responsabili di
gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani,
accertate dai competenti organi delle nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio
d’Europa;
-
l’art.
6, legge 9 luglio 1990, n, 185, comma 5°
attribuisce al Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di
armamento per la difesa (CISD) il compito di individuare «i
Paesi per i quali debba farsi luogo ai divieti di cui all’art. 1, comma 6»;
-
con
Risoluzione del 25 febbraio 2016 sulla situazione umanitaria nello Yemen
(2016/2515(RSP)) il Parlamento europeo ha chiesto espressamente «l’embargo
sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita», sia per le
gravi segnalazioni di violazione del diritto umanitario, sia per la conseguente
considerazione «del fatto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all’Arabia Saudita
violerebbe […] la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell’8 dicembre
2008;
-
con nuova Risoluzione del Parlamento europeo
del 15 giugno 2017 sulla situazione umanitaria dello Yemen (2017/2727(RSP)) si
ribadisce la richiesta finalizzata all’imposizione di un embargo dell’UE sulle
armi nei confronti dell’Arabia Saudita, in conformità alla posizione comune
2008/944/PESC, delle cui disposizioni si chiede la rigorosa applicazione da
parte degli Stati membri;
-
la legge 4 ottobre 2013, n. 118, Ratifica ed esecuzione del
Trattato sul commercio delle armi, adottato a New York dall'Assemblea generale
delle Nazioni Unite il 2 aprile 2013, prevede – art. 7 .7) – il seguente disposto: «Se, dopo la
concessione di un'autorizzazione, uno Stato Parte esportatore dovesse venire a
conoscenza di nuove informazioni rilevanti, è incoraggiato a riesaminare la sua
autorizzazione dopo aver consultato,
se necessario, lo Stato importatore»;
-
la
recente legge (ottobre 2017), contenente «Misure per
contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine anti-persona, di
munizioni e sub munizioni a grappolo» è stata
rinviata alle Camere, invocando altresì il rispetto, come esige l’art.117
Cost., degli obblighi assunti a livello internazionale con la Convenzione di
Oslo del 2008 (legge di ratifica 14 giugno 2011, n. 95), e la Convenzione di
Ottawa del 1997 (legge di ratifica 26 marzo 1999, n. 106).
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