mercoledì 7 febbraio 2018

Bombe prodotte in Italia e diritto

Intervento seminario 3 dicembre 2017 Iglesias  
Pace Lavoro Sviluppo, ri-costruire il presente ri-pensare il futuro
Di Adriana Cosseddu, 
Professore diritto penale Università di Sassari

Uno sguardo ai Lavori preparatori della Assemblea Costituente ci consegna un dato estremamente significativo: originariamente nel Progetto della nostra Costituzione era scritto: «L’Italia RINUNZIA alla guerra...»! Ma si è ritenuto che ciò non bastasse a sottolineare «lo spirito nuovo che deve animare la Carta costituzionale nei confronti del mondo internazionale».  Si arrivò così a discutere il nuovo testo proposto nella formulazione: l’Italia Ripudia per affermare al contempo la condanna come la rinuncia alla guerra. Così l’art. 11, nel suo dettato attuale, ha trovato collocazione tra i Principi fondamentali della nostra Costituzione.
Art. 11 Cost. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (prima parte)
           L’obiettivo espresso in quella sede: puntare a un ordinamento internazionale che «può e deve andare anche oltre i confini dell’Europa», guardando per il futuro a una unità più ampia, per la quale «aprire tutte le vie ad organizzare la pace e la giustizia fra tutti i popoli»!
È questa la cornice alla Legge n. 185 del 9 luglio 1990 (“Nuove norme sul controllo dell’esportazione, dell’importazione e transito dei materiali d’armamento”, quale risultante oggi dalle successive modifiche e integrazioni). Non c’è il tempo per tante notazioni, mi limito perciò alla più rilevante: art. 1 - “Controllo dello Stato” e divieti di cui ai commi 5 e 6 in ordine all'esportazione, il transito, il trasferimento di materiali di armamento; gli stessi rispettivamente dispongono:
5. L'esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione di materiali di armamento, nonché la cessione delle relative licenze di produzione e la delocalizzazione produttiva, sono vietati quando sono in contrasto con la Costituzione, con gli impegni internazionali dell'Italia, con gli accordi concernenti la non proliferazione e con i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato, della lotta contro il terrorismo e del mantenimento di buone relazioni con altri Paesi, nonché quando mancano adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali di armamento.
6. L'esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione di materiali di armamento sono altresì vietati:
a) verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere; b) verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell'articolo 11 della Costituzione; c) verso i Paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l'embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite o dell'Unione europea (UE) o da parte dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) ); d) verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'UE o del Consiglio d'Europa.


Potremmo aggiungere, in quanto non secondario, il richiamo alla previsione del 5° comma dell’art. 6 della medesima legge, che istituisce il Comitato Interministeriale per gli Scambi di materiali di armamento per la Difesa (CISD), al quale spetta «la individuazione dei Paesi per i quali debba farsi luogo ai divieti di cui all’art. 1, comma 6». 
Ma doveroso diventa, in materia, lo sguardo alla cornice internazionale e il richiamo all’osservanza degli obblighi cui è tenuto il nostro Paese, già ai sensi dell’art. 117 Cost., per il quale la potestà legislativa è esercitata dallo Stato nel rispetto «dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Basti, in merito a questi ultimi, citare il Trattato sul commercio internazionale di armi convenzionali (Arms Trade Treaty - ATT), adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, New York, 2 aprile 2013 ed entrato in vigore il 24.12.2014. L’Italia ne ha autorizzato la ratifica ed esecuzione con L. 4 ottobre 2013 n. 118.
Particolarmente significativi gli articoli 6 e 7: il primo, in quanto non consente l’autorizzazione al trasferimento di armi convenzionali qualora lo Stato Parte sia a conoscenza, al momento dell’autorizzazione, che le stesse possano essere utilizzate per la commissione, fra l’altro, di crimini contro l’umanità, gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949, attacchi diretti a obiettivi o soggetti civili, come tali protetti. Il secondo, art. 7, comma 7 - quasi in una logica conseguente - prevede che se lo Stato Parte esportatore, anche dopo la concessione dell’autorizzazione, venga a conoscenza di nuove informazioni rilevanti, lo stesso Stato sia «incoraggiato a riesaminare» l’autorizzazione accordata (cf. Dossier N° 5 - 23 Aprile 2013 - Servizio Studi - Dipartimento Affari Esteri; ma anche Servizio Studi - Dipartimento difesa - n°DI0585, Doc. pubblicato il 23.5. 2017).
Ha fatto di recente notizia, forse proprio sulla scia delle informazioni pervenute circa la grave situazione nello Yemen, la legge approvata lo scorso ottobre dal Parlamento italiano, contenente «Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine anti-persona, di munizioni e sub munizioni a grappolo». Ma ne conosciamo la vicenda conclusiva: il Presidente Mattarella non ha promulgato la legge e l’ha rinviata alle Camere. Perché? È stato eccepito un profilo di illegittimità costituzionale: l’art. 6, comma 2, del testo normativo, disattendendo talune Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, ha disposto per violazioni commesse da alcuni soggetti operanti nel settore finanziario non le sanzioni penali della reclusione e della multa, come previsto in attuazione di obblighi internazionali, bensì sanzioni pecuniarie.
Infatti, per i soli ruoli apicali e di controllo, vertici degli istituti bancari, delle società di intermediazione finanziaria e di altri intermediari abilitati, si è esclusa, in caso di finanziamento per la produzione delle munizioni, la sanzione penale. Ma solo per questi, e non per i soggetti privi della qualifica: dunque una disparità di trattamento!
E ciò mentre ai sensi della Convenzione di Oslo, sulla messa al bando delle munizioni a grappolo, la legge di ratifica del 2011, n. 95 abbia disposto all’art. 7, per attività di assistenza finanziaria, sanzioni penali. Di più. Con la stessa legge sono state apportate alla L. 2001/n. 58 modifiche volte alla «sensibilizzazione contro l’uso delle mine e delle munizioni a grappolo e in favore dell’adesione alla totale messa al bando delle stesse», nonché in favore della universalizzazione della Convenzione non solo di Oslo, ma anche di Ottawa del 1997 (ratificata in Italia con L. 26 marzo 1999 n. 106). È qui che ci si appella ai “principi di umanità” e si prevede all’art. 9 «l’imposizione di sanzioni penali, per prevenire e sopprimere ogni attività proibita» ai sensi della Convenzione.
Emergono le scelte da tempo operate nel nostro Paese. E oggi, al fondo del rinvio della legge alle Camere, una richiesta di maggior rigore da parte del Presidente della Repubblica, nel rispetto altresì degli obblighi posti dall’ art. 117 Cost.: si è sollecitato un nuovo intervento legislativo, limitato, ma reso necessario per assicurare analoga rilevanza penale alle attività proibite di assistenza finanziaria da chiunque commesse.
Ha a che fare tutto ciò con il lavoro, diritto/dovere previsto tra i principi fondamentali dalla Costituzione?
Non va dimenticato che l’art. 41 Cost., nel garantire la libertà di iniziativa economica, ne dispone anche i limiti: «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana». E ancor prima l’art. 2 Cost. richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, così che persona e mercato si ricongiungono in una visione unitaria.
Eppure oggi sempre più spesso accade di sperimentare una drammatica alternativa: tra lavoro e salute (v. caso ILVA di Taranto), o lavoro e rispetto di principi/diritti altrettanto fondanti della convivenza, quali quelli enunciati nell’art. 11 Cost.
Ma dobbiamo essere consapevoli che per operare la riconversione di una attività produttiva occorre ancor prima togliere terreno alle armi, posto che la prima cornice di ogni attività lavorativa è la garanzia di legalità
               Pensiamo che anche nella Dichiarazione finale di Pittsburgh -2009, gli stessi leader del G-20 hanno evidenziato che la crisi economica dimostra l’importanza di avviare una nuova era dell’economia globale fondata sulla responsabilità.

             Ma anche la Corte costituzionale italiana ha voluto sottolineare la specificità della “vocazione sociale dell’uomo” ed il “vincolo di appartenenza attiva che lega l’individuo alla comunità degli uomini”. E altre voci si levano a ricordare che gli interessi degli ultimi non possono essere trascurati dal diritto, un diritto capace di “coniugare solidarietà e giustizia” fino a “garantire una ‘solidarietà tra estranei’” (Habermas).

 La stessa legalità nell’ effetto ultimo di ordinare le relazioni sociali, comporta che il suo contenuto non si limiti al “non nuocere”, “non offendere”, “rispettare le norme”, ma arrivi a guardare al bene dell’altro come al proprio.

           Così, Il “villaggio globale” assume più dimensioni: l’impresa multinazionale, come quella artigiana, cooperativa, sociale, ma ognuna capace di concorrere al “bene comune”. Se le “utilità” si possono sommare “perché non hanno volto, non esprimono identità né storia” (Zamagni), nell’obiettivo del bene comune non si può sacrificare il bene di qualcuno, magari distante e sconosciuto, per migliorare quello di qualcun altro, perché quel qualcuno è pur sempre una persona umana.
  SINTESI NORMATIVA
-         l’art. 11 Cost. proclama il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie, anche nei confronti del mondo internazionale;
-         l’art. 1. Controllo dello Stato, legge 9 luglio 1990, n. 185 ne impone al 1° comma il pieno rispetto anche in caso di esportazione dei materiali d’armamento; il 5° comma del medesimo articolo dispone il divieto, fra l’altro, di esportazione e delocalizzazione produttiva «quando sono in contrasto con la Costituzione, con gli impegni internazionali dell’Italia, […] nonché quando mancano adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali di armamento; il 6° comma dispone il divieto dell’esportazione di materiali di armamento «b) verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione […] d) verso i  Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa;
-         l’art. 6, legge 9 luglio 1990, n, 185, comma 5° attribuisce al Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (CISD) il compito di individuare «i Paesi per i quali debba farsi luogo ai divieti di cui all’art. 1, comma 6»;
-         con Risoluzione del 25 febbraio 2016 sulla situazione umanitaria nello Yemen (2016/2515(RSP)) il Parlamento europeo ha chiesto espressamente «l’embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita», sia per le gravi segnalazioni di violazione del diritto umanitario, sia per la conseguente considerazione «del fatto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all’Arabia Saudita violerebbe […] la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell’8 dicembre 2008;
-          con nuova Risoluzione del Parlamento europeo del 15 giugno 2017 sulla situazione umanitaria dello Yemen (2017/2727(RSP)) si ribadisce la richiesta finalizzata all’imposizione di un embargo dell’UE sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita, in conformità alla posizione comune 2008/944/PESC, delle cui disposizioni si chiede la rigorosa applicazione da parte degli Stati membri;
-         la legge 4 ottobre 2013, n. 118, Ratifica ed esecuzione del Trattato sul commercio delle armi, adottato a New York dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 2 aprile 2013, prevede – art. 7 .7) –  il seguente disposto: «Se, dopo la concessione di un'autorizzazione, uno Stato Parte esportatore dovesse venire a conoscenza di nuove informazioni rilevanti, è incoraggiato a riesaminare la sua autorizzazione dopo aver consultato, se necessario, lo Stato importatore»;

-         la recente legge (ottobre 2017), contenente «Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine anti-persona, di munizioni e sub munizioni a grappolo» è stata rinviata alle Camere, invocando altresì il rispetto, come esige l’art.117 Cost., degli obblighi assunti a livello internazionale con la Convenzione di Oslo del 2008 (legge di ratifica 14 giugno 2011, n. 95), e la Convenzione di Ottawa del 1997 (legge di ratifica 26 marzo 1999, n. 106).

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